Quando andavamo a ballare.
L'Italia degli anni '60: Si sfrecciava con la "Vespa e la Lambretta". Con le 1100 Fiat o la Giulietta sprint. Ci si scandalizzava per la "Dolce Vita" e non si perdeva una puntata del "Musichiere"
Rispetto ai festini tutti ninnoli e merletti che i genitori preparavano per il compleanno dei loro figlioli, le feste da ballo degli anni '60 furono una sorta di ribellione delle nuove generazioni al conformismo dilagante.
Si ballava al suono di un giradischi color beige in similpelle con coperchio staccabile e il braccio traballante. Quelli più moderni erano già predisposti per i primi microsolco a 45 e 33 giri.
Da quella scatola uscivano le note di *Only You* dei Platters, o *Tutti Frutti*
Di Elvis Presley. Si ballava nelle case di quelli che avevano il saloncino.
Parlavamo di cinema e di donne, fumavamo le *Stop* e le *Esportazioni* e... aspettavamo che i genitori uscissero a respirare il ponentino per abbassare le luci e pomiciare.
Erano i primi anni '60 che di li a poco sarebbero diventati *Favolosi*, ma per noi era quello che passava il convento.
Le differenze di ceto non avevano importanza: le ragazze vestivano con ampie gonne strette in vita, con la sottogonna che mostrava l'orlo e maglioncini che esaltavano il seno.
I ragazzi, tutti con brillantina nei capelli, indossavano rigorosamente un abito completo color antracite, camicia bianca, cravatta e fazzolettino nel taschino che profumava di lavanda *Coldinava*, tanto di moda in quel periodo.
La sala da pranzo era il posto della domenica pomeriggio, possibilmente alleggerito dai soprammobili più fragili e preziosi. I genitori non apparivano alla festa, restavano in cucina a scolare ettolitri di the.
Ciascuno degli invitati contribuiva al buffet: le crostate erano fatte in casa dalle ragazze; i maschi con 400 lire a testa per comprare coca cola, vernout Martini, mignon e pastarelle.
Qualche volta si azzardava addirittura del whisky, allora le ragazze a metà festa si chiudevano in bagno nella speranza che bastasse lavarsi la faccia per placare i capogiri alcolici.
Per i ragazzi era ritenuta inevitabile la sbornia e il fumare tante sigarette
Quelli più al *verde* chiedevano "mi dai una paglia?" "aoh! ma quando te le compri?".
L'alcol incoraggiava a ballare guancia a guancia e circondare le braccia al collo di lei.
Qualcuno più spregiudicato dava consigli più sbrigativi: "mettigli una punta di cenere nel bicchiere e fai quello che vuoi".
Fin dal primo pomeriggio le persiane rimanevano accostate quasi a simulare il tramonto.
Le luci soffuse illuminavano gli ingenui amori di questa nuova generazione.
In cucina la moglie diceva al marito "perchè non vai a dare una occhiata ai ragazzi?" "ma vacci tu che sei vestita bene" rispondeva lui.
Di quando in quando il ragazzo padrone di casa accendeva la luce: "dai facciamo il ballo della scopa"
Il sudore luccicava tra la brillantina, la cravatta slacciata, gli occhi arrossati dal fumo.
Chi aveva la scopa doveva scombinare una coppia, l'altro faceva lo stesso e così via, la fine della canzone sorprendeva l'ultimo broccolo scopino.
Ma la musica delle feste da ballo restava sempre il "lento", si ballava stretti stretti con lo strofinio del corpo appena percettibile: era nato il ballo della mattonella.
Quando non era disponibile la *stanza da pranzo*, raramente le ragazze ottenevano il permesso di frequentare le sale da ballo. Noi andavamo alla *Sala Pichetti" un ruspante ritrovo a buon mercato dietro P.za Fiume che oggi si chiama *Alien*, tempio delle cameriere veneziane e militari in libera uscita.
I musicisti protagonisti erano orchestrine e gruppi di mediocre qualità.
Qualcuno frequentava la sala nella speranza di trovare l'anima gemella.
La musica melodica era tramontata, il rock and roll si stava imponendo alla grande, grazie anche alle migliaia di juke box sparsi in tutti i bar della città.
I nasi delle ragazze erano un po' carnosi, i seni un po' mosci, i glutei bassi e abbondanti.
I più timidi azzardavano: "signorina permette un ballo?".
I più imbranati cercavano di imparare i passi: "un, due e tre..." seguendo la musica a casaccio.
Sambe ballate come tanghi, rumbe come walzer, rock an'roll come saltarello.
Ogni tanto l'orchestrina attaccava la *raspa* una canzoncina tutta saltelli: "para'..para'...para' ....la raspa del canada'..." ognuno spiegava all'altro come dovevano muoversi e ogni tanto prendersi sotto braccio per fare una piroetta.
Gli guardi sfuggenti e furtivi dei militari alle cameriere, qualcuno più galante chiedeva: "signorina dove lavora?" "sono dama di compagnia di una contessa a via Merulana" rispondeva lei.
Lui si rivolgeva sottovoce all'amico commilitone: "è una "piattilografa" poi continuava: "all'uscita posso accompagnarla?" "no grazie! mi aspetta il mi' moroso ci vediamo giovedì prossimo"
Rispetto ai festini tutti ninnoli e merletti che i genitori preparavano per il compleanno dei loro figlioli, le feste da ballo degli anni '60 furono una sorta di ribellione delle nuove generazioni al conformismo dilagante.
Si ballava al suono di un giradischi color beige in similpelle con coperchio staccabile e il braccio traballante. Quelli più moderni erano già predisposti per i primi microsolco a 45 e 33 giri.
Da quella scatola uscivano le note di *Only You* dei Platters, o *Tutti Frutti*
Di Elvis Presley. Si ballava nelle case di quelli che avevano il saloncino.
Parlavamo di cinema e di donne, fumavamo le *Stop* e le *Esportazioni* e... aspettavamo che i genitori uscissero a respirare il ponentino per abbassare le luci e pomiciare.
Erano i primi anni '60 che di li a poco sarebbero diventati *Favolosi*, ma per noi era quello che passava il convento.
Le differenze di ceto non avevano importanza: le ragazze vestivano con ampie gonne strette in vita, con la sottogonna che mostrava l'orlo e maglioncini che esaltavano il seno.
I ragazzi, tutti con brillantina nei capelli, indossavano rigorosamente un abito completo color antracite, camicia bianca, cravatta e fazzolettino nel taschino che profumava di lavanda *Coldinava*, tanto di moda in quel periodo.
La sala da pranzo era il posto della domenica pomeriggio, possibilmente alleggerito dai soprammobili più fragili e preziosi. I genitori non apparivano alla festa, restavano in cucina a scolare ettolitri di the.
Ciascuno degli invitati contribuiva al buffet: le crostate erano fatte in casa dalle ragazze; i maschi con 400 lire a testa per comprare coca cola, vernout Martini, mignon e pastarelle.
Qualche volta si azzardava addirittura del whisky, allora le ragazze a metà festa si chiudevano in bagno nella speranza che bastasse lavarsi la faccia per placare i capogiri alcolici.
Per i ragazzi era ritenuta inevitabile la sbornia e il fumare tante sigarette
Quelli più al *verde* chiedevano "mi dai una paglia?" "aoh! ma quando te le compri?".
L'alcol incoraggiava a ballare guancia a guancia e circondare le braccia al collo di lei.
Qualcuno più spregiudicato dava consigli più sbrigativi: "mettigli una punta di cenere nel bicchiere e fai quello che vuoi".
Fin dal primo pomeriggio le persiane rimanevano accostate quasi a simulare il tramonto.
Le luci soffuse illuminavano gli ingenui amori di questa nuova generazione.
In cucina la moglie diceva al marito "perchè non vai a dare una occhiata ai ragazzi?" "ma vacci tu che sei vestita bene" rispondeva lui.
Di quando in quando il ragazzo padrone di casa accendeva la luce: "dai facciamo il ballo della scopa"
Il sudore luccicava tra la brillantina, la cravatta slacciata, gli occhi arrossati dal fumo.
Chi aveva la scopa doveva scombinare una coppia, l'altro faceva lo stesso e così via, la fine della canzone sorprendeva l'ultimo broccolo scopino.
Ma la musica delle feste da ballo restava sempre il "lento", si ballava stretti stretti con lo strofinio del corpo appena percettibile: era nato il ballo della mattonella.
Quando non era disponibile la *stanza da pranzo*, raramente le ragazze ottenevano il permesso di frequentare le sale da ballo. Noi andavamo alla *Sala Pichetti" un ruspante ritrovo a buon mercato dietro P.za Fiume che oggi si chiama *Alien*, tempio delle cameriere veneziane e militari in libera uscita.
I musicisti protagonisti erano orchestrine e gruppi di mediocre qualità.
Qualcuno frequentava la sala nella speranza di trovare l'anima gemella.
La musica melodica era tramontata, il rock and roll si stava imponendo alla grande, grazie anche alle migliaia di juke box sparsi in tutti i bar della città.
I nasi delle ragazze erano un po' carnosi, i seni un po' mosci, i glutei bassi e abbondanti.
I più timidi azzardavano: "signorina permette un ballo?".
I più imbranati cercavano di imparare i passi: "un, due e tre..." seguendo la musica a casaccio.
Sambe ballate come tanghi, rumbe come walzer, rock an'roll come saltarello.
Ogni tanto l'orchestrina attaccava la *raspa* una canzoncina tutta saltelli: "para'..para'...para' ....la raspa del canada'..." ognuno spiegava all'altro come dovevano muoversi e ogni tanto prendersi sotto braccio per fare una piroetta.
Gli guardi sfuggenti e furtivi dei militari alle cameriere, qualcuno più galante chiedeva: "signorina dove lavora?" "sono dama di compagnia di una contessa a via Merulana" rispondeva lei.
Lui si rivolgeva sottovoce all'amico commilitone: "è una "piattilografa" poi continuava: "all'uscita posso accompagnarla?" "no grazie! mi aspetta il mi' moroso ci vediamo giovedì prossimo"
Quando andavamo al mare..
Dopo gli anni bui del dopoguerra, le strade sono di nuovo piene di gente, si vendono sigarette "sciolte o a Pacchetti".
I mariti accompagnano le mogli a votare per la prima volta, preoccupati
che non sporchino le schede con il rossetto.
Le casalinghe diventano le padrone di casa e imparano a far funzionare
i primi elettrodomestici, i mariti sognano la "seicento" che costava 700.000 lire nel 1950
mentre lo stipendio di un operaio era di 20.000 lire e quello di un impiegato di 30.000 lire.
L'Italia cambiava pelle ma rimaneva ancora attaccata alle vecchie tradizioni.
La domenica era un giorno di allegria: intere famiglie Romane
I mariti accompagnano le mogli a votare per la prima volta, preoccupati
che non sporchino le schede con il rossetto.
Le casalinghe diventano le padrone di casa e imparano a far funzionare
i primi elettrodomestici, i mariti sognano la "seicento" che costava 700.000 lire nel 1950
mentre lo stipendio di un operaio era di 20.000 lire e quello di un impiegato di 30.000 lire.
L'Italia cambiava pelle ma rimaneva ancora attaccata alle vecchie tradizioni.
La domenica era un giorno di allegria: intere famiglie Romane
trascorrevano le ore al mare sdraiate e pigre al sole cercando la famosa tintarella.
Noi ragazzini già dalla sera prima non stavamo più nella pelle.
Andavamo a dormire con addosso lo "slip" da bagno con i laccetti bianchi ai lati.
Le giovani ragazze come mia sorella e le sue amiche favoleggiavano su un improbabile incontro con un principe azzurro e in tanto si misuravano il "due pezzi" che consisteva in un paio di braghe di cotone altissime in vita per nulla sgambate e in un reggiseno ampio come un corpetto.
Al mattino ci svegliava l'odore proveniente dalla cucina dove mia madre era intenta a friggere le fettine panate e cuocere gli spaghetti.
La carne veniva messa dentro una grossa insalatiera con coperchio e
avvolta in un canovaccio. La pasta appena cotta e condita rimaneva nel grosso pilone ancora bollente. Mia sorella preparava gustosi panini con salame e frittata e alla fine riempiva grosse e capienti borse .
Intanto arrivavano in casa nostra i figli della portinaia, nostri amici d'infanzia, ancora assonnati.
Le amiche di mia sorella, nostre vicine, arrivavano schiamazzando sorridenti e finalmente la comitiva era pronta per andare al "mare"
Occorreva percorrere un tratto di strada a piedi della Via Appia per arrivare fino a Via Mondovì dove c'era il capolinea del 18/23 che ci avrebbe portato fino alla stazione Ostiense, dove prendevamo il trenino della Roma Ostia per raggiungere il "Lido centro".
Mio fratello grande comandava la comitiva, spesso si fermava in un
chiosco a comprare un grosso cocomero che ci avrebbe dissetato sotto la calura del solleone.
Una volta sulla spiaggia, questo veniva sistemato dentro una buca sul bagnasciuga affinché l'acqua del mare lo conservasse fresco e toccava a noi fare la "guardia".
Sul" tranve" (così lo chiamavano i Romani) incontravamo altre famiglie numerose e confusionarie con tanto di panini alla mano. I ragazzini bisticciavano perchè volevano stare vicino al finestrino e si divertivano a fare le smorfie e le linguacce alle auto che superavano il tram.
Noi ragazzini già dalla sera prima non stavamo più nella pelle.
Andavamo a dormire con addosso lo "slip" da bagno con i laccetti bianchi ai lati.
Le giovani ragazze come mia sorella e le sue amiche favoleggiavano su un improbabile incontro con un principe azzurro e in tanto si misuravano il "due pezzi" che consisteva in un paio di braghe di cotone altissime in vita per nulla sgambate e in un reggiseno ampio come un corpetto.
Al mattino ci svegliava l'odore proveniente dalla cucina dove mia madre era intenta a friggere le fettine panate e cuocere gli spaghetti.
La carne veniva messa dentro una grossa insalatiera con coperchio e
avvolta in un canovaccio. La pasta appena cotta e condita rimaneva nel grosso pilone ancora bollente. Mia sorella preparava gustosi panini con salame e frittata e alla fine riempiva grosse e capienti borse .
Intanto arrivavano in casa nostra i figli della portinaia, nostri amici d'infanzia, ancora assonnati.
Le amiche di mia sorella, nostre vicine, arrivavano schiamazzando sorridenti e finalmente la comitiva era pronta per andare al "mare"
Occorreva percorrere un tratto di strada a piedi della Via Appia per arrivare fino a Via Mondovì dove c'era il capolinea del 18/23 che ci avrebbe portato fino alla stazione Ostiense, dove prendevamo il trenino della Roma Ostia per raggiungere il "Lido centro".
Mio fratello grande comandava la comitiva, spesso si fermava in un
chiosco a comprare un grosso cocomero che ci avrebbe dissetato sotto la calura del solleone.
Una volta sulla spiaggia, questo veniva sistemato dentro una buca sul bagnasciuga affinché l'acqua del mare lo conservasse fresco e toccava a noi fare la "guardia".
Sul" tranve" (così lo chiamavano i Romani) incontravamo altre famiglie numerose e confusionarie con tanto di panini alla mano. I ragazzini bisticciavano perchè volevano stare vicino al finestrino e si divertivano a fare le smorfie e le linguacce alle auto che superavano il tram.
Alla stazione Ostiense la folla si accalcava sul marciapiede in attesa che arrivasse il trenino, qualcuno addirittura camminava a fianco delle portiere fino a che queste si aprivano, allora una fiumana di gente si riversava dentro i vagoni ed era un vero e proprio assalto ai posti a sedere.
Chi arrivava prima chiamava i propri parenti e amici a voce alta.
"Mario dove sei? hai preso il pupo??... "Antonio sto in quest'altro
vagone!!... " "Giuseppe dove sta la borsa?... "
Qualche bambino piangeva perchè non trovava più la mamma, ma poi tutto finiva bene.
Non riesco a ricordare casi gravi di intolleranza, anzi c'era tanta solidarietà e ci si aiutava a vicenda. Spesso il tragitto veniva rallegrato da gruppi di ragazzi: uno suonava la chitarra e tutti cantavano canzoni dell'epoca:"La cucaraccia, la cucaraccia... " oppure: "solo me ne vò per la città...." ancora: "Quanto sei bella Roma...."sotto lo sguardo divertito e ammirato delle ragazze.
I "Battistini", storico stabilimento del litorale romano, fondato nel 1911, appena 3 anni dopo che la Via Ostiense era stata prolungata fino al mare, era il luogo dove si consumavano le infinite storie minori della gente capitolina e dove vicissitudini diverse si incrociavano sotto l'ombrellone.
All'entrata dello stabilimento era sistemata una lavagna con del gesso che serviva per lasciare dei messaggi agli amici ritardatari indicando il numero di cabina o il posto dell'ombrellone.
Mio fratello grande era sempre il più svelto a fare i biglietti di ingresso e ad affittare il "casotto" grande , poichè una semplice cabina non sarebbe stata sufficiente.
Noi ragazzini eravamo i primi a rotolarci sulla sabbia e fare delle buche con il "secchiello e la paletta".
Non riesco a ricordare casi gravi di intolleranza, anzi c'era tanta solidarietà e ci si aiutava a vicenda. Spesso il tragitto veniva rallegrato da gruppi di ragazzi: uno suonava la chitarra e tutti cantavano canzoni dell'epoca:"La cucaraccia, la cucaraccia... " oppure: "solo me ne vò per la città...." ancora: "Quanto sei bella Roma...."sotto lo sguardo divertito e ammirato delle ragazze.
I "Battistini", storico stabilimento del litorale romano, fondato nel 1911, appena 3 anni dopo che la Via Ostiense era stata prolungata fino al mare, era il luogo dove si consumavano le infinite storie minori della gente capitolina e dove vicissitudini diverse si incrociavano sotto l'ombrellone.
All'entrata dello stabilimento era sistemata una lavagna con del gesso che serviva per lasciare dei messaggi agli amici ritardatari indicando il numero di cabina o il posto dell'ombrellone.
Mio fratello grande era sempre il più svelto a fare i biglietti di ingresso e ad affittare il "casotto" grande , poichè una semplice cabina non sarebbe stata sufficiente.
Noi ragazzini eravamo i primi a rotolarci sulla sabbia e fare delle buche con il "secchiello e la paletta".
Mia sorella e le ragazze entravano nel casotto tenendosi per mano, si allacciavano vicendevolmente le bretelline del costume e controllavano che non ci fossero buchi nelle pareti di legno che servivano per spiare le donne dal casotto contiguo. Mio fratello e i ragazzi più grandi indossavano certi costumi sformati di lana leggera sorretti da una cinturina di tela bianca che appena in ammollo si appesantivano e scivolavano verso il basso, finito il bagno occorreva strizzarli davanti e di dietro. Entravano in acqua con la cuffia di gomma abbassata sulle orecchie per non rovinare i capelli pieni di brillantina. Raramente sapevano nuotare, ci provavano con movimenti da ranocchio nell'acqua bassa e si buttavano da terra con degli improbabili tuffi.
Le attrezzature da spiaggia erano spartane: i "sandalini" con le pagaie
dove le ragazze accettavano di di farsi gongolare nell'acqua bassa .
"Oddio non ti allontanare qui non si tocca...." Non si vedevano motoscafi, i primi gommoni erano canotti di salvataggio dell'aviazione americana, Mia madre non metteva mai il costume da bagno, rimaneva con un vestitino leggero fino alle ginocchia e da sotto l'ombrellone vigilava su noi ragazzini e sulle ragazze mentre facevamo il bagno.
L'ora di pranzo era quella più spassosa e folcloristica. mia madre,aiutata dalle ragazze, preparava il tavolo all'interno del casotto e tirava fuori dalle sporte ogni ben di Dio: metteva la pasta nei piatti , ormai divenuta una sorta di frittatona, e la serviva ad ognuno di noi che si era sistemato alla meglio. " A me tanta!" dicevano i ragazzini. Le mani erano talvolta imbrattate di sabbia e insieme alla pasta e alle fettine panate sgranocchiavamo anche qualche granello di sabbia. Non potevamo fare troppo gli schizzinosi, la fame era tanta.
Al tramonto, stanchi ma felici e arrossati dal sole prendevamo la via del ritorno. Una moltitudine di gente si trascinava letteralmente verso la stazione del "lido centro" per riprendere il treno che li riporterà a casa. Visi arrossati e stravolti per la stanchezza, bambini che dormono in braccio alle mamme, molti si lamentano per il dolore alle spalle bruciate dal sole.
Il treno si ferma si spalancano le porte, ma la ricerca dei posti a sedere è meno chiassosa ed euforica del mattino. Durante il tragitto qualcuno accenna ad un pisolino. Arrivati ad Ostiense, la fatica più grande era quella di prendere il tram fino al capolinea e poi camminare a piedi fino a casa.
Pensare che poco più di mezzo secolo fa il bel paese era così.
Le attrezzature da spiaggia erano spartane: i "sandalini" con le pagaie
dove le ragazze accettavano di di farsi gongolare nell'acqua bassa .
"Oddio non ti allontanare qui non si tocca...." Non si vedevano motoscafi, i primi gommoni erano canotti di salvataggio dell'aviazione americana, Mia madre non metteva mai il costume da bagno, rimaneva con un vestitino leggero fino alle ginocchia e da sotto l'ombrellone vigilava su noi ragazzini e sulle ragazze mentre facevamo il bagno.
L'ora di pranzo era quella più spassosa e folcloristica. mia madre,aiutata dalle ragazze, preparava il tavolo all'interno del casotto e tirava fuori dalle sporte ogni ben di Dio: metteva la pasta nei piatti , ormai divenuta una sorta di frittatona, e la serviva ad ognuno di noi che si era sistemato alla meglio. " A me tanta!" dicevano i ragazzini. Le mani erano talvolta imbrattate di sabbia e insieme alla pasta e alle fettine panate sgranocchiavamo anche qualche granello di sabbia. Non potevamo fare troppo gli schizzinosi, la fame era tanta.
Al tramonto, stanchi ma felici e arrossati dal sole prendevamo la via del ritorno. Una moltitudine di gente si trascinava letteralmente verso la stazione del "lido centro" per riprendere il treno che li riporterà a casa. Visi arrossati e stravolti per la stanchezza, bambini che dormono in braccio alle mamme, molti si lamentano per il dolore alle spalle bruciate dal sole.
Il treno si ferma si spalancano le porte, ma la ricerca dei posti a sedere è meno chiassosa ed euforica del mattino. Durante il tragitto qualcuno accenna ad un pisolino. Arrivati ad Ostiense, la fatica più grande era quella di prendere il tram fino al capolinea e poi camminare a piedi fino a casa.
Pensare che poco più di mezzo secolo fa il bel paese era così.
I"pidocchietti"di periferia.
I pomeriggi invernali domenicali era di rito andare al cinema.
Il buio della sala sapeva di fumo stagnante , il film era di secondo grado, la "maschera" spruzzava un deodorante dozzinale.
Parlo di un tempo lontanissimo, perché quei cinema non esistono più, ma rivivono di sicuro nel ricordo di chi li ha frequentati.
Le facciate erano scalcinate, le insegne sempre guaste, ma richiamavano nomi seducenti:
Trianon, Diana, Apollo, Odeon, l'Ambra, il Golden".
Erano cinema di periferia che noi chiamavamo "pidocchietti", unici luoghi che ci permettessero di sognare.
Sedili scricchiolanti di legno usurato; vecchi e assordanti altoparlanti emanavano un suono distorto e incomprensibile. I film andavano dal western al mitologico, dai film di guerra ai comici.
I luoghi erano l' Arizona, il Texas, le Montagne rocciose. I nomi mitici dei cow boys : Bill , Joe, Kid, Jack .Gli indiani attaccavano la carovana disposta in circolo guidati da Toro seduto, Nuvola rossa, o Cavallo pazzo. L'immancabile eroina veniva sempre colpita da una freccia alla spalla. Ma nel momento topico uno squillo di tromba annunciava la carica delle giacche blu della cavalleria americana , "ta ta ta ta",
Nei film di guerra, gli invincibili Marines si sbarazzavano con incredibile facilita di buffi soldati giapponesi.
Ci spanciavamo dalle risate con "Stalio e Olio" , Gianni e Pinotto e Jerry Lewis.
Storpiare i nomi degli attori era un vezzo. Così Tyron Power diventava
"Tiro in porta", Rita haywort era "Rita rivortete".
Al trianon , l'enorme tetto, quando non pioveva, si apriva sul cielo durante l'intervallo.
Al Diana si stava in pace a vedere il film, ma non all'Apollo che tutti sapevano infestato dai "finocchi" a caccia di ragazzini. Guai andare a fare pipì nei cessi di quella sala.
La maschera vestiva una livrea ridicola , ma aveva un aspetto austero quando verificava i biglietti.
Li fumammo le prime sigarette, protetti da un buio maleodorante e con le spirali di fumo che si disperdevano nella luce del proiettore.
sentivamo tutti un po' gli eroi del film e ci rincorrevamo sparando a destra e sinistra.
La signora che abitava di fronte al Trianon, prima di fare i piatti, scendeva in ciabatte e con il grembiule ancora in vita per fumarsi una sigaretta.
Entrava nel cinema senza pagare una lira, chiamava a voce alta il figlio :
"Remo è ora di cena!"- oppure: "Mario ti cerca tua madre!"-un altro rispondeva. "Che pure la mia?"
Qualche perdigiorno pagava il biglietto alle tre del pomeriggio e rimaneva fino alla sera.
Qualcun altro si addormentava fino all'ultimo spettacolo quando la maschera lo svegliava gridando: "Aoh è ora de chiude!"
Oggi naturalmente quella periferia ma anche quei sogni non esistono più.
Molti di quei cinema di quartiere, rionali o parrocchiali hanno subito una triste fine.
Altri invece sono stai trasformati nelle così dette "multisale", con aria condizionata, poltrone di velluto, insonorizzazione e suono surround, che accolgono 5 o più film contemporaneamente.
Allora torna alla mente la lontana periferia, dove in quell'angolo sgangherato si poteva davvero sognare.
Entrava nel cinema senza pagare una lira, chiamava a voce alta il figlio :
"Remo è ora di cena!"- oppure: "Mario ti cerca tua madre!"-un altro rispondeva. "Che pure la mia?"
Qualche perdigiorno pagava il biglietto alle tre del pomeriggio e rimaneva fino alla sera.
Qualcun altro si addormentava fino all'ultimo spettacolo quando la maschera lo svegliava gridando: "Aoh è ora de chiude!"
Oggi naturalmente quella periferia ma anche quei sogni non esistono più.
Molti di quei cinema di quartiere, rionali o parrocchiali hanno subito una triste fine.
Altri invece sono stai trasformati nelle così dette "multisale", con aria condizionata, poltrone di velluto, insonorizzazione e suono surround, che accolgono 5 o più film contemporaneamente.
Allora torna alla mente la lontana periferia, dove in quell'angolo sgangherato si poteva davvero sognare.
GLI anni Sessanta alle porte, la Fiat 600, il grande schermo, le sere d'estate davanti ai grandi della commedia all'italiana o ai kolossal arrivati da Hollywood. Stava per esplodere il miracolo economico, nelle case degli italiani sarebbero entrati tanti frigoriferi, di lì a breve la tv non sarebbe stata più un bene di lusso e anche l'intrattenimento cominciava a diventare un'occasione alla portata di tutti. A Roma, anno 1957, sotto il sole d'agosto s'inaugurava il Metro Drive In, a pochi passi dalla strada sulla quale nei giorni festivi sfrecciavano le lambrette verso il lido di Ostia. Sullo schermo, gigantesco, a inaugurare a questo pezzo d'America fu la commedia La nonna Sabella, Tina Pica e Peppino De Filippo, Sylva Koscina, Renato Salvatori, Renato Rascel, Paolo Stoppa diretti da Dino Risi. Grande la partecipazione dei romani e dei turisti, uno spazio enorme, magnifico, macchine una dietro l'altra e a fianco all'altra a godersi lo spettacolo. Poi, via via, il declino. L'abbandono, le erbacce.
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