Silvana la lattaia.
La vita è un ricordo, scrivere del passato è un modo di parlare con se stesso e degli altri.. i miei pensieri si accavallano: La strada, il giardino, il pratone il rumore del fosso e degli alberi.. c'era una volta la domenica, il Natale, la Pasqua, la famiglia, il forno, il cinema, la parrocchia, l'oratorio…cosa è rimasto di queste realtà che rendevano felici le nostre piccole vite?...
All'angolo del nostro isolato fra la via Appia e la via Fabbri, proprio accanto al negozio di vini e oli, c'era il chiosco di Silvana la "lattaia", una ragazzona molto bella, alta, forte, un po miope.. riusciva ad accatastare i cestelli di ferro pieni di bottiglie di latte che noi ragazzini non riuscivamo neanche a spostare..era simpatica, formosa e sempre allegra, il destino non le fu amico, morì giovane per un tumore al seno.. la gente andava volentieri a comprare il latte nel chiosco di Silvana.. lei accoglieva tutti con un sorriso e mentre serviva il candido e prezioso liquido, cantava felice a squarciagola: "..fiorin fiorello l'amore è bello.."
La mamma di silvana si chiamava Elena, vedova, grande e grossa e piuttosto volgare, inforcava un paio di grossi occhiali che montavano delle lenti che sembravano i fondi delle sue bottiglie di latte.
Nelle calde sere d'estate mentre noi eravamo già tutti a letto, la signora Elena usciva sulla via Fabbri, dove abitava, ed iniziava a chiamare a voce alta suo figlio Renato, un giovanotto scapestrato e nullafacente che rientrava sempre tardi in casa.. "Renatoooo"-ripeteva- qualche signora più spiritosa delle altre le faceva il verso: "Renato vieni a casa".. il giovanotto arrivava tutto trafelato: "mamma, ma che ti strilli che svegli tutti!" - lei rispondeva- "una sera di queste ti rompo la testa con un bastone".. era un rito che si ripeteva spesso ed era entrato a far parte del folclore del nostro quartiere, dove tutti si conoscevano e dove il frastuono delle automobili era assolutamente
inimmaginabile.. dalle finestre aperte per il caldo udivo fra il dormiveglia la sua voce squillante, ma non avvertivo nessun fastidio bensì una dolce sensazione di tranquillità e di buona notte…
inimmaginabile.. dalle finestre aperte per il caldo udivo fra il dormiveglia la sua voce squillante, ma non avvertivo nessun fastidio bensì una dolce sensazione di tranquillità e di buona notte…
Eravamo in pieno carnevale.. erano belle giornate di primavera.. il martedì grasso i carri allegorici iniziavano a sfilare da P.zza S. Giovanni e percorrevano tutta la Via Appia, facevano un largo giro in Via Cave e tornavano indietro.. molta gente veniva da altri quartieri per assistere alla sfilata ed attendere che dai carri iniziassero a lanciare dolci e cioccolatini.. alcuni aprivano gli ombrelli per accaparrarsene di più, altri avevano in mano un grosso cono di cartone, altri ancora tendevano il cappello.. Io e Mario, il figlio della portinaia, ci trovavamo davanti al portone del nostro palazzo e guardavamo incuriositi e divertiti lo spettacolo dei quei grossi carri allegorici, sonori e coloratissimi che rappresentavano personaggi della vita italiana, politici in prima fila.. sui tettini belle e giovani ragazze ballavano felici e lanciavano caramelle e cioccolatini, ad un certo punto qualcuno gettò verso di noi una tavoletta di cioccolata: "mammamia cioccolata! mai vista!".. ci precipitammo a raccoglierla e mentre discutevamo come dividerla e mangiarla, arrivò Silvana la lattaia che con un gesto fulmineo ce la sfilo di mano: "ma non vedete che l'hanno gettata a me perché sono una bella signorina".. a noi non restò che l'acquolina in bocca...
Tutte le sere prima della cena mia madre mi mandava a comprare il latte che ancora si vendeva sfuso.. io prendevo la bottiglia, la sciacquavo appena nel lavandino e correvo al chiosco di Silvana.."ciao, mi dai un litro di latte?", la ragazzona, che non smetteva mai di cantare, prendeva il misurino d'alluminio e l'affondava nel grande pilone contenente il latte appena arrivato dalla centrale.. mi riempiva la bottiglia e ripeteva la solita frase: "devo segnare anche 'sta sera?".. e il conto si allungava sempre di più.. mia madre è stata sempre un po distratta per queste cose, non annotava mai nulla e talvolta alla fine del mese notavamo un consumo di latte un po più alto del solito...
Tutte le mattine mamma ci svegliava cantando le filastrocche e nel frattempo che noi ci alzavamo lei rimaneva a poltrire un po ne letto.. "Franco"-diceva- per favore prendi il "cuccumello"-una sorta di ciotola di alluminio un po ammaccata- e vai a comprare un cappuccino al bar del "sor Mario", il cappuccino doveva servire come ottima miscela per il latte appena bollito e per farne un buon caffellatte per tutti…
Il bar del "sor Mario" si trovava all'angolo del palazzo di Piermattei, il padrone del grande forno a legna.. prendevo il "cuccumello" e mi avviavo malvolentieri ma rassegnato verso il bar.. mi avvicinavo vergognosamente alla cassa dove sedeva la "sora Agostina", moglie del "sor Mario", una donna buona che faceva del bene a tutti e le sussurravo sotto voce: "ha detto mamma se mi da un cappuccino poi passa lei a pagare.. lo sguardo della signora si posava su di me, mi fissava dolcemente ed esclamava "povero orfanello non ti preoccupare poi passerà Gesù" e ordinava al barista di farmi un cappuccino.. il barista un omone grande e grosso mi strizzava l'occhio e mi faceva un cappuccino piuttosto "lungo".. correvo a casa felice prima che il cappuccino si freddasse, mamma lo riversava nel latte e ne veniva fuori un ottimo caffellatte per tutti.. facevamo colazione con piacere e gusto, perché non passava settimana che mia madre non facesse la pizza dolce in casa..
Il nostro palazzo di via Appia Nuova era alto solo 5 piani costruito con criteri antichi..non aveva ne il riscaldamenti ne ascensore. I muri spessi e robusti non lasciavano passare il freddo d'inverno e tenevano fresche le stanze in estate.. In inverno, la sera prima di andare a dormire, mia madre scaldava dell'acqua calda, la riversava in capienti bottiglie ben chiuse che sistemava ai piedi del letto e al momento di coricarsi potevamo godere così di un bel calduccio e tepore sotto le lenzuola.. la borsa di gomma per l'acqua calda era un lusso per pochi.. a letto, spenta la luce e con le coperte sopra il naso per difendersi dal freddo della stanza, schiacciati dai cappotti che mia madre posava sulle già calde coperte per rafforzare la barriera, ci sentivamo più fortunati di altri che passavano le notti all'addiaccio.
Gli unici appartamenti del seminterrato erano il nostro e quello della portinaia Francesca..per accedervi occorreva scendere, dall'androne del portone, una rampa di scale fino al pianerottolo dove a destra e a sinistra c'erano gli usci delle nostre case.. era un grosso divertimento mettersi a cavalcioni sul mancorrente della ringhiera della scala e lasciarsi scivolare velocemente giù fino al pianerottolo..
la porta di casa era a due ante e costruita di un buon legno massiccio con all'interno un robusto catenaccio di ferro..la chiave di quelle antiche di ferro era perennemente ficcata nella toppa.. anche in futuro quando sostituimmo la serratura con una più moderna non perdemmo mai l'abitudine di lasciare la chiave nella serratura..
L'erogazione della luce elettrica nelle case era a "forfait", non si potevano usare lampadine più forti di 50w -allora si diceva 50 candele-e non potevano restarne accese più di tre alla volta, per passare da una stanza all'altra occorreva ricordarsi di spegnerà la luce della camera che si lasciava altrimenti l'interruttore generale interrompeva l'energia elettrica in maniera ritmata: dilon, dilon,dilon, ed io rifacevo il verso…
Quando mamma usciva e in casa non rimaneva nessuno, la chiave la lasciava all'interno del chiusino del gas accanto alla porta, praticamente il segreto di pulcinella, tuttavia mai che io ricordi un episodio di disonesta e d' intolleranza...
Nel palazzo ci conoscevamo tutti, c'era fraternità e solidarietà e tutti ci aiutavamo.. la povertà non era una colpa, tantomeno una vergogna, chiunque bussava alla nostra porta bastava dire "avanti"…
La povertà è un tratto costante dei miei ricordi, per questo racconto di come molti bambini non erano mai entrati in un negozio per l'infanzia e che si cambiavano con l'abito che ti aveva procurato la nonna che l'aveva avuto dalla figlia della signora presso cui prestava servizio.
Mi sembra un tempo così irrimediabilmente lontano.
La povertà è un tratto costante dei miei ricordi, per questo racconto di come molti bambini non erano mai entrati in un negozio per l'infanzia e che si cambiavano con l'abito che ti aveva procurato la nonna che l'aveva avuto dalla figlia della signora presso cui prestava servizio.
MIMMA.
Nel palazzo della "sora" Maria, in via di Vigna Fabbri, in un appartamento al seminterrato
abitava la famiglia Fini.
Le finestre davano sul bel giardino che separava il nostro palazzo da quello loro, però erano esposte a nord per cui il sole non vi batteva mai, al contrario quelle nostre erano tutte esposte a mezzogiorno e sempre illuminate e riscaldate dal sole.
La casa era piuttosto buia arredata con vecchi mobili di legno scuro che davano un senso di tristezza.
La signora Fini e le figlie Adriana e Mimma dormivano insieme in una grande stanza.
Il figlio più grande Fulvio dormiva invece nella capiente cucina insieme ai suoi 4 cani.
Io sono entrato spesso in quella casa e talvolta, incredibilmente ed inspiegabilmente, sogno quelle stanze buie e quei mobili antichi che emanavano un odore di muffa.
Fulvio praticava con mediocrità la box, e millantava di essere stato un grande campione.
Aveva anche la passione della caccia e possedeva 4 cani e non c'era niente al mondo più
importante di loro. Era ritenuto, forse a torto, un poco di buono e non aveva un posto di lavoro,
solo più tardi iniziò a fare il camionista.
La signora Fini, teneva molto alla sua persona, sempre elegante, ben truccata e profumata, questo ha lasciato spazio, forse a torto, a maldicenze e illazioni.
Le due figlie, Adriana e Mimma, avevano all'incirca la stessa età dei miei fratelli Sergio e Wilma
e avevano stretto fra loro una grande amicizia.
Adriana era una bella e formosa ragazza piena di voglia di vivere: occhi e capelli neri, era molto corteggiata e più di un ragazzo se ne innamorò.
Mimma, anch'essa bella, ma meno appariscente. Per una sfortunata operazione all'osso del piede destro era divenuta leggermente claudicante.
Soffriva molto per questa sua menomazione e per superare questo suo complesso era divenuta stravagante e dava molta confidenza ai ragazzi, o comunque cercava sempre di essere al centro dell'attenzione di tutti.
La mia casa era sempre aperta e disponibile per tutti i giochi con i miei amichetti.
Un giorno, insieme ai ragazzini venne anche Mimma, giocavamo alla scuola e lei fungeva da Maestrina dalla penna rossa, come quella del libro "Cuore".
Dopo i "compiti" disse: "Andiamo in camera da letto vi insegno un nuovo gioco, farò finta di
essere malata e tutti voi dovete essere pronti a curarmi".
Si sdraiò sul grande letto matrimoniale di mia madre, si alzò le vesti sopra la vita, tirò giù le mutandine e rimase completamente nuda. Tutti noi ragazzini sgranammo gli occhi, ovviamente
non avevamo mai visto nulla del genere.
Lei accarezzava lentamente il suo pube emettendo dei sospiri, poi disse:
"Io sono malata dovete accarezzarmi anche voi uno alla volta"
Stavo per avvicinarmi al letto quando sentii la porta d'ingresso aprirsi: era mia madre che rientrava
dopo aver fatto la spesa.
Mimma si rivestì velocemente e seguitammo a giocare alla "scuola" come se nulla fosse accaduto.
Noi ragazzini certamente crescemmo, e quando cominciammo a "capire", questo episodio lo commentammo spesso....
Il Circo di periferia.
Era un mondo fantastico.. un mondo che non tornerà più.. un mondo in cui era ancora lecito sognare…
La televisione era quella della vicina di casa, il calcio solo una voce che veniva da una grossa scatola di legno.. si poteva ancora fare il bagno alla "marana".. le macchine passavano ogni tanto..
le "botticelle" dai colori sgargianti e campanelli nei finimenti del cavallo scendevano dai castelli romani per portare il vino alle osterie di Roma...
Andavamo a rubare le nespole nel campo del contadino, i finocchi nell'orto della "sora Rosa"..
Il sabato andavamo a fare la doccia a pagamento ai bagni pubblici diurni.
La televisione era quella della vicina di casa, il calcio solo una voce che veniva da una grossa scatola di legno.. si poteva ancora fare il bagno alla "marana".. le macchine passavano ogni tanto..
le "botticelle" dai colori sgargianti e campanelli nei finimenti del cavallo scendevano dai castelli romani per portare il vino alle osterie di Roma...
Andavamo a rubare le nespole nel campo del contadino, i finocchi nell'orto della "sora Rosa"..
Il sabato andavamo a fare la doccia a pagamento ai bagni pubblici diurni.
Ricordo la prima volta che siamo andati al circo, era uno di quei piccoli circhi di periferia con carrozzoni angusti e stretti, con le ruote di legno e tende logore alle finestrelle, con un vecchio camino di latta sul tetto dal quale usciva un filo di fumo bianco.
Ricordo l'odore delle salsicce che qualcuno fuori dal carrozzone cuoceva sulla brace e che si mischiava al forte fetore degli animali.
Allestivano lo spettacolo sistemando i carrozzoni in circolo per la pista, il palco era fatto con delle panche messe in fila una dietro l'altra.. nomi erano i più disparati: Il circo di Oz..magia del trapezio.. il vero mangiafuoco...
Guardavamo estasiati quegli uomini che dondolavano goffamente sul traballante trapezio e sognavano di diventare famosi trapezisti per i grandi e celebri circhi.
Un centurione romano con le vesti sdrucide e unte fungeva da domatore di leoni interpretati da guitti con la pelle finta sulle spalle.
Un vecchio strumento stonato sparava fuori una gracchiante musica che accompagnava i loro buffi esercizi.
Per far presa sul "pubblico" in mezzo alla pista c'era un ragazzino che faceva i salti mortali, mentre un omone grande e grosso ingurgitava da una bottiglia un liquido oleoso e sputava fuoco avvicinandosi una piccola torcia alla bocca.
Una bambina girava con un vecchio e stanco somarello, chiedeva 10 lire e ringraziava togliendosi il cappellino di paglia.
Carini, simpatici, facevano tenerezza, chiedevano un applauso ed erano felici così.
Immagini del passato: nella mia mente tornano ricordi sfocati.. un uomo a petto nudo che si faceva mettere un pesante sasso sul ventre ed un altro che fendeva colpi da abbattere un bue fino a spaccare l'enorme mattone, mentre la gente gridava "basta lo ammazzi".
Immagini del passato: nella mia mente tornano ricordi sfocati.. un uomo a petto nudo che si faceva mettere un pesante sasso sul ventre ed un altro che fendeva colpi da abbattere un bue fino a spaccare l'enorme mattone, mentre la gente gridava "basta lo ammazzi".
Un pagliaccio con abiti strappati entrava in pista suonando una stridente tromba, un ragazzetto che faceva il salto mortale da due metri di altezza e cadeva su di un materasso unto e sporco sollevando una nuvoletta di polvere, la gente incantata rideva ed applaudiva...
Chiedevano solo di divertirci, perché le nostre risate e i nostri applausi erano la loro vita.
Immagini del passato, immagini di gente che cercava di portare stupore tra il "pubblico".
Immagini del lanciatore di coltelli che erano vecchie posate da cucina.
Immagini che le generazioni di oggi e quelle future non vedranno mai.
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